(*)
Significa: "Siano
considerati sacri i diritti degli dei Mani" (ovvero degli estinti). Questa frase
in latino è una delle leggi delle XII tavole dei decemviri; con essa l'autore introduce
il tema dell'opera ricorrendo alla sapienza giuridica di Roma per combattere quei
provvedimenti napoleonici (in particolare l'Editto di Saint Cloud) che, in
nome di una presunta ideologia egualitaria, offendevano la religione delle tombe.
(v.01)
L'esordio, solenne e desolato, si fonda su due domande retoriche (di cui conosciamo già
le risposte). La prima: il sonno della morte è meno profondo e inesorabile qualora
l'estinto riposi all'ombra dei cipressi? La seconda: quale sarà il compenso a questa mia
vita per sempre perduta, una pietra tombale (un sasso), che distingua le mie ossa
da quelle degli altri? Chiamiamole verità di ragione.
(v.05)
La natura, con la sua bellezza e pienezza di vita. Il F. oppone il sole luminoso e
fecondatore al buio della tomba.
(v. 16)
La Speranza secondo la mitologia fu l'ultima ad abbandonare i mortali quando gli dei
salirono sull'Olimpo. Essa, secondo la leggenda, fu anche l'unica a rimanere nel vaso dei
mali, quando Pandora, imprudentemente, lo aprì facendo disperdere i mali nel mondo. Per
questo la Speranza viene considerata la dea più lenta, che si muove per ultima. Ma
parlando dei sepolcri, anche essa, che solitamente rimane vicino ai mortali, si allontana
lasciando sole le anime. Si può quindi intendere come alla fine della vita non rimanga
più niente, nemmeno la speranza. Secondo alcuni critici con questa 'massima' l'autore
vuole negare la speranza anche quella in una seconda vita.
(v. 23)
Cominciano da questo verso le 'ragioni del cuore' (o le verità di sentimento) con le
quali l'autore, dopo le idee generali e razionali esposte all'inizio dell'opera, spiega i
motivi della sua riflessione sui sepolcri. Essi si rifanno ai sentimenti, all'amore e nei
versi seguenti viene evidenziato come le nuove riforme vadano contro questi valori
immortali. Nulla rimane per il poeta dopo la morte, che coincide con l'annientamento
totale della persona. Quindi l'autore si chiede perchè l'uomo dovrà privarsi della
benigna illusione che deriva dal sepolcro, se con la tomba ricca di attenzioni e di cure
il defunto rimarrà vivo nella mente delle persone care. Inizia, da questi versi, una
dimostrazione della validità delle tombe dal punto di vista familiare, intimo.
(vv.
29-30-31)
Il legame d'amore che fa corrispondere i vivi con i propri cari defunti è un dono degli
dei che dà la possibilità di comunicare, almeno idealmente, con i morti.
(v.
41-42)
La sopravvivenza ha un valore soggettivo: il defunto continua a sopravvivere se lascia
eredità di affetti, cioè se viene ricordato e amato. Soltanto le persone che in vita non
sono state amate e non hanno seminato amore, non riceveranno né amore né affetto dopo la
morte, e troveranno poca gioia nella tomba.
(vv.
51-52)
L'editto di Saint Cloud, promulgato in Francia nel 1804 ed esteso alle province italiane
nei giorni stessi in cui il Foscolo portava a fine il componimento, imponeva la
costruzione di appositi cimiteri e la collocazione di lapidi, tutte uguali, non sopra le
tombe ma lungo il muro di cinta. Le disposizioni di Saint Cloud derivavano in parte da
preoccupazioni igieniche e in parte dallo spirito egualitario e giacobino dei tempi.
"Nuova" sta per strana, singolare, in contrasto con la 'pietas' tradizionale.
(vv.
72-73)
Allude alla città di Milano, corrotta allettatrice di cantanti evirati perché
mantenessero una voce da donna, che non ha innalzato tra le sue mura né un cipresso, né
una lapide, né una iscrizione in memoria del Parini.
(vv.
88-89-90)
Non esistono fiori sui sepolcri di un estinto che non sia ricordato dagli uomini con lodi
e col tributo del pianto. L'avverbio «ove» si può interpretare oltre che come avverbio
di tempo anche come avverbio di luogo. Quindi non esistono fiori in quei luoghi che non
sono sacri alla memoria e al culto degli estinti.
(v. 90)
Dopo i «motivi del cuore» (familiari, intimi) presentati nei versi 20 e
successivi, l'autore passa ora ai «motivi storici», per i quali fa un rapido
viaggio nella storia dei sepolcri dai popoli antichissimi fino a quelli moderni. Le ossa
del Parini sono state lasciate in abbandono vergognoso, eppure la civiltà stessa degli
uomini è nata dal culto delle tombe; con l'istituzione dei sepolcri i primitivi hanno
superato gli orrori della loro primogenita ferocia. C'è un esplicito richiamo al pensiero
di Giambattista Vico. Il culto dei morti,
un'amministrazione della giustizia (Tribunali), i matrimoni e la religione
segnano il passaggio dalla barbarie alla civiltà.
Dal giorno in cui nacque la società umana (con la famiglia, la giustizia, la religione) gli uomini seppellirono i loro morti. Il pensiero deriva dalla Scienza Nova del Vico, che lievitava allora fortemente sulla incipiente cultura romantica, e con efficacia sullo spirito del Foscolo, convertendolo ad un senso nuovo e positivo della storia (non più scettico, rinunciatario, come in molte pagine dell'Ortis)
(v. 104)
Introduce dei versi in cui contrappone gli aspetti e le forme più macabre del culto
medioevale dei morti alla visione luminosa e ideale della sepoltura classica. In questo
modo risponde all'implicita obiezione che il culto dei morti possa nuocere alla salute per
l'igiene e possa creare tra i vivi paurosi presagi o fosche immagini dell'aldilà.
(v.
130)
Si riferisce ai giardini dei cimiteri suburbani inglesi pieni di ornamenti in cui le
ragazze pregavano i Geni (dèi che presiedono al ritorno) perché si adoperassero per far
tornare in patria Nelson, che s'era costruita la propria bara con l'albero maestro della
nave conquistata ai francesi. Considerando che Nelson era già morto, si pensa che
pregassero per il ritorno in patria delle spoglie dell'eroe.
(v.
137)
Dove ormai è spento ogni furore di nobili imprese e la vita civile è governata dalla
ricchezza e dalla paura, i monumenti funebri sono inutili. In questi versi il Foscolo
rivela il suo atteggiamento antinapoleonico. Egli riconosceva ai francesi il merito della
rivoluzione e a Napoleone il merito di aver svegliato l'Italia e di averla avviata a nuova
dignità civile. Tuttavia non volle mai piegarsi all'adulazione vergognosa e
frequentissima dei letterati italiani. Egli si sente un uomo libero pronto a riconoscere
il merito anche nel campo avversario.
(v.
151)
In questa nuova parte del carme si sostiene la 'funzione civile' delle tombe. Le urne dei
grandi del passato incitano l'animo dei coraggiosi "forti" a compiere
cose egregie rendendo nobile e sacra la città che le accoglie al forestiero che non la
conosce.
(v.
186)
Quando una speranza di gloria brillerà agli intelletti più animosi, trarremo
l'ispirazione ad agire.
(v.
197)
Una potenza misteriosa parla tra le mura dei sepolcri di S.Croce a Firenze ed è la stessa
potenza che alimentò il valore e lo slancio eroico dei greci a Maratona contro i persiani
invasori.
(v.
213)
Inizia una nuova parte in cui si afferma la perennità ideale dei sepolcri ad opera dei
poeti. Si celebra la funzione riparatrice del sepolcro, che rende giustizia ai grandi nomi
come Achille con un po' di invidia per Pindemonte, che da giovane ha navigato per i mari
della Grecia e ha potuto udire l'eco delle antiche imprese.
(v.
219)
L'autore si riferisce alle armi di Achille: Ulisse se ne appropriò con l'astuzia ma non
riuscì a portarle a Itaca poichè la marea, per volontà degli dei, le rapì alla nave
errante di Ulisse, portandole sulla tomba di Aiace al quale dovevano andare di diritto.
(v.
226)
Il Foscolo si augura che le Muse lo prescelgano per ispirarlo a celebrare gli eroi.
Mediante la poesia si dà anima al pensiero degli uomini e si rendono eterne nel tempo le
illusioni. La poesia è la protagonista vera dei sepolcri e con la poesia, ma anche
generalizzando, l'arte, la letteratura, il pensiero scientifico, il Foscolo assegna a se
stesso il compito di evocare gli eroi.