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RIFERIMENTI STORICI

 

L'EDITTO DI SAINT CLOUD

L'editto di Saint Cloud, promulgato in Francia nel 1804 ed esteso alle province italiane nei giorni stessi in cui il Foscolo portava a fine il componimento, imponeva la costruzione di appositi cimiteri e la collocazione di lapidi, tutte uguali, non sopra le tombe ma lungo il muro di cinta. Le disposizioni di Saint Cloud derivavano in parte da preoccupazioni igieniche e in parte dallo spirito egualitario e giacobino dei tempi, per realizzare un ideale di uguaglianza almeno nella morte. Abitualmente si ritiene che il carme Dei Sepolcri parla qui dell'editto di Saint-Cloud, promulgato dal regime napoleonico nel 1802: non è esatto. Questo editto, infatti, è frutto di un generale complesso legislativo, di stampo illuminista, emanato molto prima (1743) ad opera dei sovrani di Austria-Ungheria Maria Teresa e Francesco Stefano d'Asburgo-Lorena che vietava di tumulare i corpi dentro le chiese. Oltretutto, al verso 53 viene detto: " ....e senza tomba giace il tuo sacerdote.... ". Si parla cioè di Parini che era morto nel 1799, quando cioè non era neanche stato pensato il nuovo editto. Parini era stato infatti sepolto quando ancora vigevano le leggi mortuarie asburgiche.

 

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LA BATTAGLIA DI TRAFALGAR

Grande battaglia svoltasi il 21 ottobre 1805 al largo di Capo Trafalgar, promontorio della Spagna meridionale, tra la flotta Inglese agli ordini di Horatio Nelson e quella Franco-Spagnola comandata dall'ammiraglio Pierre Charles de Villeneuve (1763-1806). Lo scontro rientrava nel quadro delle ostilità, riapertesi nel 1805, tra la Francia napoleonica e la Terza coalizione anti-francese, guidata dalla Gran Bretagna. Le forze dei contendenti erano pressoché pari: c'erano infatti 33 vascelli Franco Spagnoli contro 27 grandi unità Inglesi. La battaglia si protrasse per alcune ore, furiosissima, con episodi di valore e di audacia da entrambe le parti. Nelson, colpito da una fucilata poco dopo l'inizio dello scontro, continuò a seguire il combattimento dalla sua nave, fino a quando non gli mancarono le forze e spirò. Il comando passò allora all'ammiraglio Cuthbert Collingwood (1750-1810), a cui andò, in parte non trascurabile, il merito della vittoria Inglese. Si calcola che nella battaglia, che è considerata la più grande nella storia della marina velica, perissero oltre quattromila Franco-Spagnoli e cinquecento Inglesi.

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LA BATTAGLIA DI MARATONA

Nel 490 a.C. i Persiani lanciarono una spedizione punitiva contro le due città della Grecia continentale, Atene ed Eretria. Una potente flotta, comandata da Artaferne (un nipote di Dario) e da un generale medo di nome Dati, penetrò nelle acque delle Cicladi, le cui città si sottomisero (tra cui Eretria). Era quindi l'ora di Atene. Un contingente di circa 20000 soldati Persiani sbarcò nella pianura di Maratona, in Attica, e si apprestò a travolgere la città. Maratona dista da Atene una quarantina di chilometri: la città greca era direttamente minacciata e forse non avrebbe resistito all'urto se i Persiani l'avessero immediatamente aggredita. Invece persero tempo, disponendosi a una prudente attesa. Frattanto Atene si preparava febbrilmente alla resistenza e mandava messaggi alle città della Grecia chiedendo aiuto; ma allora si rivelò l'immaturità del popolo greco come nazione: tutte rifiutarono di intervenire nella lotta. Alla fine l'unico appoggio furono i mille uomini inviati da Platea, una polis dell'Attica troppo vicina ad Atene per restare indifferente. L'assemblea Ateniese, sollecitata dallo stratego Milziade, un nobile, prese la coraggiosa decisione di non attendere il nemico asserragliandosi entro le mura, ma di andargli contro. I Greci erano 7000, i Persiani 20000. Visto il notevole squilibrio delle forze contrapposte, sembrava una battaglia dall'esito scontato. Ma in guerra la tecnica e il modo di combattere si rivelano spesso fattori molto più importanti del numero degli uomini messi in campo. I Persiani combattevano all'antica, vale a dire in ordine sparso. I Greci, invece, combattevano usando lo schieramento più moderno ed efficiente che esistesse. I due eserciti stettero per tre giorni l'uno di fronte all'altro, spiandosi: poi gli Ateniesi attaccarono con impeto e quando i Persiani videro quella massa di soldati muoversi verso di loro di corsa, dovettero provare insieme stupore e panico. Il risultato dello scontro dà la misura della carneficina che si verificò: rimasero sul campo 6400 Persiani di contro ad appena 192 Ateniesi. I Persiani furono costretti a rifugiarsi in disordine sulle loro navi e prendere il mare. Era il 10 settembre del 490 avanti Cristo. Ad Atene si attendeva pieni d'ansia l'esito della battaglia; alla fine giunse un corridore trafelato, Filippide, che aveva percorso poco più di 40 chilometri per portare la bella notizia. Filippide, ahi lui, di fiato non ne aveva poi tantissimo e dopo essere arrivato usò l'ultimo sospiro per sussurrare: "nike" che vuol dire vittoria in lingua greca. La sua ultima parola. L'Oriente aveva perso il suo primo scontro con l'Occidente, ma soprattutto Atene aveva vinto il più grande esercito del mondo da sola, e questo portò alle stelle il suo prestigio in tutta la Grecia. I 192 Ateniesi morti a Maratona sono sepolti in un tumulo che ancora oggi esiste.